PARCO ARCHEOLOGICO
Aree di scavo e monumenti

La domus dei Coiedii è una abitazione privata con la sorprendente estensione di 3.000 mq. I suoi caratteri architettonici sono decisamente sontuosi e ne fanno una delle più belle dell’Italia centrale.
I resti di questa splendida dimora sono protetti da un’ampia copertura che, unitamente ad un percorso sopraelevato integrato da pannelli didattici, consente una sua completa visita, privilegiando la visione dei numerosi mosaici che rivestono le pavimentazioni dei suoi principali vani (tra figurati, geometrici e monocromo-bianchi se ne contano circa 20). I mosaici, uno degli aspetti più caratterizzanti della domus, abbracciano quattro secoli di questa pratica artigianale, dal I sec. a.C. al III sec. d.C., con la possibilità dunque di seguirne i cambiamenti di gusto e di tecnica. La ricchezza degli interni della domus era data anche dagli affreschi alle pareti, che recuperati sono in parte ricomposti e visibili al Museo Civico Archeologico “A. Casagrande” Città Romana di Suasa a Castelleone di Suasa.
La domus repubblicana è una abitazione privata d’età medio - repubblicana testimonianza della fase urbanistica pre-municipale di Suasa. L’edificio, infatti, ci rimanda alle prime fasi di piena pianificazione urbanistica della città, avvenute all’indomani delle assegnazioni viritane della Lex Flaminia (232 a.C.). L’abbandono della domus avvenne prematuramente nella prima metà del I sec. d.C., le sue rovine vennero sepolte e lo spazio in cui sorgeva non è stato più riedificato, divenendo un’area di rispetto lungo il lato meridionale della domus dei Coiedii. La domus si sviluppa su un impianto stretto e allungato diviso in due settori. Quello prospiciente alla strada è la parte propriamente residenziale che si articola secondo la successione di fauces, atrio, tablino, cubicola, oecus e corte scoperta e conserva decorazioni pavimentali e parietali di grande interesse documentario. Il settore a monte comprende, invece, una teoria di ambienti che si snodano lungo stretti corridoi, con carattere artigianale o utilitaristico.
Da annoverare è anche la conservazione di alcune parti degli alzati dei muri costituiti da mattoni in argilla cruda, messi in opera su zoccolature in laterizio. La tecnica, attestata dalle fonti antiche, per problemi di conservazione, è raramente riscontrabile oggettivamente nella realtà archeologica.
L’intero settore è protetto da un’ampia copertura e si stanno avviando i lavori di restauro delle strutture e delle pavimentazioni che, unitamente all’ideazione di percorsi di visita attrezzati, ne permetteranno al più presto la fruizione al pubblico. Alcune delle pitture recuperate nella domus sono ora esposte nel Museo Civico Archeologico di Castelleone di Suasa.
Di fronte alla domus dei Coiedii, sul lato opposto della strada è situato il Foro della città. Si tratta di un imponente complesso a carattere pubblico costituito da una teoria di vani disposti su tre lati e aperti su un portico che prospetta verso una piazza scoperta.
I resti di questo grande complesso sono stati parzialmente restaurati e un percorso provvisorio corredato da pannelli esplicativi ne consente la visita.
L’anfiteatro di Suasa è uno dei maggiori delle Marche, secondo per dimensioni solo a quello di Ancona, misura 333 piedi sull’asse maggiore (98,7 m) e 260 piedi su quello minore (77,7 m); il suo impianto è da far risalire alla prima età imperiale.
Il monumento è utilizzato occasionalmente per ospitare spettacoli teatrali e musicali di notevole suggestione e sarà presto inserito nel circuito di visita del Parco Archeologico.
Teatro
Il teatro, individuato con una campagna di fotografia aerea effettuata nel 2003, è ubicato tra la domus dei Coiedi e l’anfiteatro. Nel 2004 sono stati eseguiti alcuni saggi di scavo per verificarne le potenzialità archeologiche, dai dati emersi è risultato che le strutture dell’edificio sono piuttosto integre, e che il proseguo degli scavi e della sua totale messa in luce è certamente auspicabile.
Le strutture messe in luce sono state, per motivi di conservazione, rinterrate in attesa dell’avvio di regolari campagne di scavo e restauro.
Necropoli
Lungo il tracciato del decumano massimo della città, verosimilmente nella zona del suburbio, erano situate le aree di necropoli, una a sud e una a nord. La necropoli settentrionale è stata ancora poco esplorata, ci ha comunque restituito il basamento di un grande monumento funerario “a podio”. Quella meridionale è, invece, stata oggetto di alcune sistematiche campagne di scavo. Qui sono stati messi in luce i resti di quattro grandi tombe monumentali, una quarantina ad inumazioni semplici (foto: tombeNMer) e tre ustrina, luoghi di cremazione dei defunti (foto: UstrinaNecrMerid). La necropoli è stata in uso dal periodo tardorepubblicano (I sec.a.C.) al tardoantico (IV-V sec. d.C.). Alla fase più antica sono riferibili i monumenti funerari a dado e gli ustrina. Ad una fase medioimperiale (II sec.d.C. – III sec. d.C.) appartengono, invece, inumazioni di diversa tipologia: alla cappuccina, in cassa laterizia, in fossa terragna. L’ultima fase della necropoli è rappresentata da alcune tombe nelle quali sono stati reimpiegati elementi architettonici funerari spogliati da sepolture della prima età imperiale (foto: tombe Tarde).
Alcuni oggetti di corredo e i materiali architettonici ed epigrafici recuperati dalle sepolture sono ora esposti nel Museo Civico Archeologico di Castelleone di Suasa, mentre entrambe le aree di necropoli sono state interrate nuovamente in attesa del restauro che ne permetterà la fruizione.
Edificio 4
A meno di cento metri a sud della domus dei Coiedii, lungo l’asse viario principale della città, è stato individuato e parzialmente scavato un complesso edilizio denominato Edificio 4.
L’edificio è articolato in diversi settori, quello verso la strada è composto da una serie di vani, alcuni pavimentati con mosaici figurati in bianco e nero, altri con esagonette fittili e cocciopesto, disimpegnati da corridoi mosaicati in monocromo bianco. A est di questo è invece un settore formato da una complessa sequenza di ambienti tra i quali se ne distingue uno che presenta i resti di suspensurae fittili e un altro con un lato absidato. Tra i mosaici figurati spiccano senz’altro quello con canovaccio a “cassettoni” con riquadro centrale in cui campeggia una testa di Oceano, circondato da motivi a tema marino e quello a losanghe. L’edificio, da ricondurre almeno per la fase principale al periodo medioimperiale ma forse con impianto originario più antico, può essere interpretato, con tutte le cautele, come complesso pubblico a carattere termale.
Oggi, a conclusione dei restauri conservativi dei pavimenti a mosaico, il complesso è stato interrato in attesa della sua musealizzazione.
Chiesa del Santissimo crocifisso
La chiesa del Santissimo crocifisso fu edificata sul fondo di Pian volpello per volontà di Livia della Rovere Duchessa di Urbino che, ricordiamo, attorno ai primi decenni del’600 aveva eletto a sua dimora il Palazzo fatto costruire da suo padre Ippolito a Castelleone di Suasa. La chiesetta subì col passare degli anni un lento e inesorabile degrado tanto che attorno ai primi decenni del 1900 la famiglia dei Principi Ruspoli, oramai proprietaria di tutto il territorio del Pian Volpello, piuttosto che ripararla la ricostruirono ex novo a una ventina di metri di distanza. La nuova cappella fu eretta alla memoria di Donna Caterina Ruspoli col nuovo titolo di S. Caterina. La costruzione è di piccole dimensioni, piuttosto semplice ma aggraziata, all’interno è posto un piccolo altare con tabernacolo e alcune panche; all’esterno alcuni grandi cipressi fanno da cornice al luogo di culto.
Una volta all’anno, nel mese di Giugno, vi si svolge, la “Festa dell’inizio del raccolto”, con la singolare benedizione delle macchine agricole e un rinfresco sull’aia. E’ un momento di grande aggregazione per tutta la popolazione della contrada che partecipa già dai giorni che precedono la festa ai suoi preparativi.
Casa del Tappatino
Il cosiddetto “tappatino” costituisce un magnifico esempio di architettura rurale del XV secolo. Deve la sua denominazione al sopranome di uno dei suoi abitanti degli inizi del ‘900: Bellagamba detto il tappatino. Verso gli anni trenta dello stesso secolo vi abitò la famiglia Aguzzi, mezzadri del Conte Ruspoli proprietario di tutto Pian Volpello. La famiglia Aguzzi vi rimase sino al 1990 quando la Soprintendenza Archeologica per le Marche acquistò il fabbricato e ne curò il restauro al fine di destinarlo a sede logistica e di accoglienza per il Parco Archeologico.
L’aspetto odierno, piuttosto articolato, è il risultato di trasformazioni e aggiunte che si sono seguite nel tempo. La struttura originaria fu costruita fruttando in parte i resti di edifici di epoca romana ancora visibili negli scantinati. Anche le murature presentano numerose tracce di utilizzo di materiale proveniente dalle rovine della città romana. Sappiamo dall’epigrafe posta sull’architrave di una porta che nel XVI secolo l’abitazione fu dimora di Ottaviano Volpello, l’epigrafe riporta infatti il suo nome “OCTAVIANUS VULPELLUS”, da cui deriva anche il toponimo del fondo valle, appunto Pian Volpello. Il personaggio fu giureconsulto presso la corte dei Della Rovere sotto i duchi Guidobaldo II e Francesco Maria II.
Chiesa di S. Lucia
Sulla cresta collinare in prossimità dell’Anfiteatro sorge la chiesetta di S. Maria del Soccorso o S. Lucia. La chiesa originaria sorgeva poco distante da quella di nuova costruzione e doveva essere dotata di cospicui redditi e di terreni. Col tempo subì un lento degrado sino alla sua definitiva demolizione. La nuova chiesa fu edificata nel 1969. Presenta una facciata con mattone a vista e all’interno conserva un altare in marmo che ospita una statua lignea di S. Lucia. A dicembre vi si celebra la festa di S. Lucia, con messe, processione e rinfresco preparato dagli abitanti della contrada.
Casa in terra di S. Isidoro
Seguendo la strada provinciale che attraversa il Parco, a pochi km dal suo confine, in direzione di Corinaldo, in località S. Isidoro (strada del Pierino), si giunge ad uno dei più belli e meglio conservati esempi di architettura rurale in terra della provincia di Ancona. Una abitazione povera costruita interamente con muri in terra cruda. Questa tipologia di costruzioni, molto presente nelle campagne marchigiane tra ‘800 e inizi del ‘900, ora molto rare e sottoposte a tutela, ci consentono di far luce sulle condizioni di vita delle famiglie contadine dei secoli scorsi.